Questo il titolo della bella escursione che si e’ svolta domenica 11 giugno sul monte Caio organizzata dalla Sezione ANPI Laura e Lina Polizzi con la collaborazione di ISREC Parma e il patrocinio di CAI Parma.
Un folto gruppo di partecipanti si e’ presentato all’appuntamento e con la guida della nostra esperta e’ partito alla volta del Monte Caio.
Grazie ai racconti di Marco Minardi che ci ha illustrato i percorsi e narrato gli eventi abbiamo rivissuto un piccolo pezzo della nostra storia legata a questi luoghi e agli uomini che hanno percorso questi sentieri nei tempi andati con animo ben diverso dal nostro .
Dai rastrellamenti tedeschi del ’44 , alla vita e purtroppo alla morte di molti ragazzi che come Daniele Bertozzi scelsero la via dei monti, sono stati i racconti puntuali e coinvolgenti che hanno accompagnato la nostra giornata ad opera del bravissimo Marco Minardi che si e’ dimostrato oltre che un ottimo narratore anche un esperto camminatore. Tra di noi c’erano anche alcuni amanti dei canti di lotta e resistenza che hanno coinvolto molti di noi in cori estemporanei, magari non molto intonati ma sicuramente molto sentiti.
Tanti i partecipanti, dai 6 ai 74 anni, che tra chiacchiere e canti hanno raggiunto la vetta del Caio, e tante le richieste di future escursioni.
Per il ciclo di incontri “Ci vediamo all’ANPI”, sabato 27 maggio la sede ANPI sez. Lina e Laura Polizzi di Parma ha aperto le sue porte a un pubblico che, numeroso nonostante il primo weekend di bella stagione, è accorso ad ascoltare la conferenza del prof. Claudio Vercelli. Vercelli è uno storico di chiara fama, esperto di storia degli ebrei, della questione mediorientale, e della storia dell’Italia contemporanea. Tra le mille cose che Vercelli fa, c’è anche scrivere per Patria Indipendente, organo di informazione di ANPI.
La conferenza di sabato 27 maggio, intitolata “Neofascismo in grigio”, voleva inquadrare le tendenze della realtà neofascista nella contemporaneità, mettendone in risalto le caratteristiche che la distinguono dal fascismo storico e le analogie che a esso lo riconducono.
Perché questo neofascismo è “in grigio”? Se il colore del movimento fascista è sempre stato il nero, negli anni più recenti, per poter sopravvivere, ha dovuto subire alcune trasformazioni significative, soprattutto per adattarsi al nuovo ruolo di contropotere, diverso da quello storico di potere autoritario, sorto per puntellare e sostenere poteri già costituiti. Si parla naturalmente della casa reale, ma anche della Chiesa, che rinunciò alla rappresentanza politica che aveva avuto nello Stato Liberale in cambio del concordato. Ma non solo: il potere degli industriali e dei proprietari terrieri era quello che aveva sostenuto la crescita del fascismo, che nei suoi primi anni aveva di fatto svolto il compito di stroncare gli scioperi con l’uso della violenza sotto il comando dei Ras. Sarebbe però un errore considerare il fascismo un mero prodotto di circostanze storiche: il fenomeno ha una sua autonomia e dei connotati particolari che lo rendono un oggetto a sé.
La storia del neofascismo invece è differente: non è più un esercizio di potere, bensì, all’opposto, di contropotere. Dal decadimento di Salò il fascismo storico arriva alla caduta del ’45, che è una sconfitta su tutti i fronti: civile, politico, e solo in ultima istanza anche militare. Il neofascismo di oggi è in grigio proprio perché sospeso tra diverse tendenze. Da un lato c’è la riorganizzazione: il suo rappresentante primario è stato certamente l’MSI, che dell’eredità di Salò va fin da subito sfumando alcuni aspetti, imparando presto ad assorbire anche i benefici delle trasformazioni sociali in atto negli anni del dopoguerra. La sua attuale incarnazione, Fratelli d’Italia, è un’evoluzione diretta di quella stessa realtà, di cui eredita la cultura politica neofascista.
Le altre organizzazioni oggi esistenti non vivono un momento felice: se Casapound è stata in grado, negli ultimi decenni, di rappresentare il “salto di qualità” per la cultura neofascista, oggi ha subito una battuta d’arresto da cui per il momento non sembra in grado di risollevarsi. Forza Nuova, realtà eversiva di indubbia importanza storica, oggi appare in completo disarmo: dopo l’assalto alla sede della CGIL avvenuto nell’ottobre del 2021 durante la manifestazione no green pass, l’organizzazione ha visto arrestati alcuni dei suoi vertici, restando di fatto decapitata. Di minore importanza appare la Lega dei Patrioti, che però ci mette davanti a una prassi comune della destra estrema: l’appropriazione di parole d’ordine di altre culture politiche. “Patrioti” è infatti l’attributo che rivendicarono per sé molti partigiani.
Oggi è soprattutto la parte istituzionalizzata della destra estrema che ha saputo rigenerarsi e adattarsi, cambiando vesti ma mantenendo il suo carattere di fondo, fino ad arrivare al governo.
Cosa caratterizza la cultura delle destre radicali e post-costituzionali? Claudio Vercelli ci ha aiutato a individuarne alcuni aspetti imprescindibili.
In primis, il pensiero antidemocratico. La democrazia è, a loro modo di vedere, una forma fallace di governo nell’interesse collettivo. Il loro obiettivo è cercare di piegare l’istituzione democratica in senso post-costituzionale. In Italia è un processo non ancora compiuto, ma se guardiamo al quadro europeo possiamo vedere che in Ungheria e in Polonia è già successo.
Un altro tratto comune alle forze neofasciste è l’antipluralismo: in un quadro di cultura pluralista ogni individuo è riconosciuto nella sua identità, e non può essere represso. La destra radicale invece guarda al pluralismo con avversione: troppi diversi sono pericolosi, e devono essere uniformati. L’uniformità è un concetto ben differente da quello di uguaglianza: l’uguaglianza sancisce pari diritti pur nella diversità, l’uniformità chiede di aderire a un canone e a un modello univoci. È un concetto che acquista forza soprattutto in fasi di crisi, e oggi come cent’anni fa stiamo assistendo a una crisi dei ceti medi, che temono una retrocessione economica ma anche di status sociale. La risposta che offre la visione dell’estrema destra è: c’è qualcuno diverso da te che sta portando via qualcosa che ti appartiene. Da qui deriva anche la visione della cittadinanza come valore non giuridico, ma etnico e identitario.
L’antisocialismo è un altro tratto culturale che contraddistingue le formazioni dell’estrema destra. Nonostante il declino del comunismo, il tracciato antisocialista resiste ancora oggi. Il motivo si può individuare nell’avversione per l’autorganizzazione, che sfugge al controllo dell’autorità costituendo uno spazio di autonomia in conflitto con l’ordine sociale ricercato.
E infine, l’antiliberalismo: i diritti dell’individuo devono sottostare, soccombere agli interessi di una comunità organica.
È chiaro che da tutti questi tratti non può che derivare un rifiuto netto dell’impianto costituzionale della Repubblica: uno slogan molto noto del Fronte della Gioventù recitava: “Il 25 aprile / è nata una puttana / e l’hanno chiamata / Repubblica Italiana.”
L’ideologia neofascista è caratterizzata dalla violenza: è una violenza in cui il gruppo deve avere la meglio, e in cui l’individuo può e deve sacrificarsi. Oggi il richiamo alla violenza è sopito in molte fra le realtà citate, ma nei cerchi concentrici della galassia nera è ancora un elemento agglutinante. Un esempio sono i gruppi di ultras calcistici, serbatoio di reclutamento per le organizzazioni neofasciste, ma anche i centri sociali di destra, in cui gli skinheads possono essere identificati dal loro abbigliamento come fosse una vera e propria divisa.
Chi è al governo oggi è tutto questo, o è anche altro? Si tratta di una classe dirigente cresciuta all’interno del vecchio MSI, con Almirante come modello, la cui filosofia politica era pragmatica: “non rinneghiamo nulla ma non possiamo restaurare”. Anche Fratelli d’Italia è contro i diritti civili, un atteggiamento che oggi porta più antipatie che simpatie, ma che garantisce un collante contro il presunto disordine morale imperante. Un’altra battaglia è quella per reintrodurre la pena di morte, complementare a quella per il diritto alla difesa: si tratta di orizzonti anticostituzionali, verso i quali i fascismi iniziano a premere quando qualcosa rende un sistema politico fragile di suo. Oggi questa fragilità è ravvisabile nello sbandamento del ceto medio.
La destra post-costituzionale è stata inoltre capace di interagire con il grande pubblico sfruttando il mezzo del web, creando delle vere e proprie redazioni di professionisiti che fabbricano fake news, cavalcando l’intuizione che, nel mondo virtuale, non esiste più un’unica verità plausibile, ma molte realtà intercambiabili. Il lato oscuro della par condicio, se vogliamo, che ha dato al neofascismo l’occasione di captare anche elementi della galassia antivaccinista, apparentemente distante da considerazioni politiche, ma in realtà sintomo di un fermento sociale che presenta meccanismi analoghi al fenomeno negazionista: un metodo di ragionamento che mette in evidenza legami tra fenomeni non connessi tra loro, che permette di spostare l’asse di discussione su di un altro terreno, favorevole a instillare la cultura del sospetto.
D’altro canto, abbiamo già visto come per la destra estrema la legge sia un limite: se il diritto è tutela della collettività, l’avversione a esso è comune sia alla destra populista che ai fronti antivaccinisti.
L’adesione neofascista a queste battaglie è spesso un’adesione a polemiche fittizie, volte solo a mostrare le norme come una limitazione delle libertà individuali. La retorica neofascista fa da sempre leva sull’individualismo, sul sospetto, sulla paura, sulla ricerca di protezione. Il paradosso è che, accanto alle rivendicazioni della libertà individuale contro l’obbligo di legge, la retorica neofascista vive di appelli affinché l’individuo rinunci ai propri diritti per proteggersi. In una società, come quella odierna, ben più debole di quella di 50-60 anni fa, la propaganda neofascista offre proprio risposte a un bisogno di protezione.
Claudio Vercelli si è prestato al dialogo con i presenti, che hanno avuto l’occasione di rivolgergli domande, richieste di chiarimenti, di condividere con il professore e con la plate le proprie considerazioni riguardo a quanto appena detto. Un altro incontro di alto profilo, che la segreteria cittadina è fiera di aver potuto offrire ai suoi iscritti.
Continuano gli incontri del ciclo Ci vediamo all’ANPI, pensati dalla segreteria della sezione ANPI cittadina Laura e Lina Polizzi per dare ai suoi iscritti la possibilità di un confronto su temi di interesse dell’associazione, sotto la guida di alcuni fra i maggiori esperti contemporanei. Dopo Andrea Rapini e Angelo d’Orsi, il 27 maggio sarà la volta di Claudio Vercelli, storico contemporaneo di chiara fama, nonché collaboratore del giornale della nostra associazione Patria Indipendente. Claudio Vercelli, oltre a essere tra i maggiori esperti sulla questione mediorientale, è anche uno dei più attenti osservatori della realtà del neofascismo, in tutte le sue declinazioni. E proprio “Neofascismo in grigio” sarà il titolo della conferenza in programma per sabato 27 maggio alle 17. Il titolo è preso da un libro dello stesso Claudio Vercelli edito nel 2021; il professore traccerà un quadro esaustivo delle destre radicali in Italia e in Europa, fra evocazioni nostalgiche e prese di posizione antisistema, a volte esplicite, a volte sotterranee, sempre caratterizzate da una retorica reazionaria antidemocratica ben connotata.
L’incontro è aperto alla cittadinanza. L’ingresso è a offerta libera, fino a esaurimento posti.
Una lettera di Priamo Bocchi esprime “sconcerto e disappunto” per il fatto che alla Scuola Elementare Cocconi si sia scelto di far cantare ai bambini Bella Ciao in un saggio di fine anno. La sua lettera parla di un canto rappresentativo di una fazione della “guerra civile” combattuta tra il ’43 e il ’45, facendo uso del consueto arsenale retorico cui l’estrema destra ricorre quando c’è da mettere in dubbio la legittimità della Resistenza.
Non ci stupisce dunque il contenuto di questa lettera. Forse, da un partito che si chiama “Fratelli d’Italia” ci si aspetterebbe la capacità di riconoscere un testo patriottico: Bella Ciao infatti, canzone che durante la Resistenza fu cantata solo dalla Brigata Maiella in Abruzzo, non contiene alcun cenno alla lotta tra fascisti e antifascisti, parla bensì della lotta contro l’invasore. Quell’invasore che, con l’aiuto attivo della Repubblica Sociale Italiana, si fece autore di quegli “eccidi, fosse comuni, regolamenti di conti, sevizie e barbarie” di cui Bocchi stesso parla nella sua lettera, dimenticando forse la genesi del suo partito. Considerando l’evoluzione che dalla Repubblica Sociale Italiana ha portato prima al Movimento Sociale Italiano, poi ad Alleanza Nazionale, e da lì a Fratelli d’Italia, si capisce bene perché questa canzone dia fastidio: ricorda un’eredità scomoda.
Bella Ciao è la canzone che, dopo la caduta del fascismo, si è imposta come depositaria della memoria della Resistenza. E l’ha fatto per un motivo molto semplice: andava bene a tutti. Cattolici, socialisti, monarchici, comunisti, perfino gli anarchici, non trovavano barriere ideologiche che impedissero di cantarla tutti insieme, nelle piazze, a celebrare quella data in cui l’invasore era stato sconfitto. Gli unici che non la cantavano erano quelli che di quell’invasore erano stati i complici. Quelli che si erano celati dietro una vuota propaganda nazionalistica, ma piegando di fatto il capo a una potenza straniera e invadente. Non per niente il Movimento Sociale Italiano non partecipò ai lavori dell’Assemblea Costituente, espressione diretta delle forze che con l’aiuto degli alleati avevano liberato l’Italia dal giogo tedesco: loro di quel giogo erano stati i fedeli servitori.
Lasciamo quindi che Bocchi si tenga il suo sconcerto e il suo disappunto, sappiamo da dove arrivano. Agli insegnanti della Scuola Cocconi, caduti al centro di questa polemica sterile, va la nostra solidarietà, nel nome della libertà dell’insegnamento. Nessun partito, dentro o fuori dal governo, potrà impedire ai bambini di cantare Bella Ciao, la canzone di un’Italia che si è riscattata agli occhi del mondo grazie a un popolo in armi, che a differenza dei repubblichini ha rifiutato di servire la disumanità del nazismo.
Se poi Bocchi vuole che si canti anche Blowin’ in the wind, ben venga: parlando di eredità, Bob Dylan si rifaceva direttamente a Woody Guthrie, e cosa pensasse Woody dei fascisti è cosa ben nota.
Continuano i nostri incontri di libera lettura di poesia e non sempre c’e’ il tempo per scriverne, ma ecco che ci vengono in aiuto le amiche lettrici che condividono con noi l’interesse e il piacere di questi nostri pomeriggi:
Eravamo in otto nel pomeriggio di sabato 22 Aprile all’ANPI di Parma per incontrare La Poesia è Terra Libera. Nella vigilia della festa della LIBERAZIONE, è stato naturale parlare di libertà ,di lotta per conquistarla e conservarla; di proporla sempre come forza vitale. Così le carissime partecipanti hanno letto, commentato, inventato un dialogo franco e collaborativo mentre si leggevano testi i più diversi ma tutti concorrenti a rinsaldare l’idea della LIBERAZIONE dalla guerra, dall’inimicizia, dal silenziatore che mettiamo alla voce dei nostri cuori che sono fatti per l’amore. Nel fondo della sala, il giovane partigiano raffigurato sull’ampia parete, in una commovente immagine di vittima, forse ha sorriso con la consapevolezza del giusto.
Ringraziamo l’amico Stefano Vivan per il video integrale della conferenza del prof. Angelo d’Orsi tenuta nella nostra sede il 21 aprile 2023, dal titolo “Nuovo ordine mondiale, vecchio disordine italiano”.
Quest’anno l’Anpi nazionale ha dedicato il 25 aprile alla Resistenza delle donne, un gesto dal significato simbolico molto forte in un momento in cui nel nostro Paese viene costantemente attaccata la memoria di tutti coloro che hanno scelto di opporsi al fascismo e al nazismo e che hanno lottato anche a costo della propria vita. L’invito è a non dimenticarsi di nessuno né, soprattutto, di nessuna, portando un fiore nelle strade intitolate ad alcune partigiane. Per questo la sezione di Parma invita le cittadine e i cittadini a partecipare attivamente a questa iniziativa anche in città, inviandoci foto, video o brevi pensieri inerenti alla deposizione di una rosa in una delle strade che indichiamo nella guida in pdf da scaricare qui.
Il secondo appuntamento ce lo racconta la nostra Presidentessa:
Se cammino per la mia città e mi fermo a osservare ciò che ho intorno, mi accorgo che i luoghi, i monumenti, le pietre stesse racchiudono storie e memorie pronte a essere raccontate al viandante che sa domandare. Chi era Cesare della Pergola? Chi erano le persone i cui nomi troviamo incisi sulle pietre d’inciampo?
Se immaginiamo di vivere in un mondo sostenibile, dobbiamo anche pensare di opporci alla frenesia della vita quotidiana, di rallentare e di trovare il tempo per scoprire, per ricercare il senso della memoria collettiva e della memoria personale.
Ascoltare la narrazione delle vite di uomini, donne e bambini scomparsi nei campi di concentramento e di sterminio, di partigiane e partigiani che hanno pagato a caro prezzo la propria scelta e il proprio impegno, conoscere le loro storie e raccontarle a nostra volta significa fare in modo che esse possano rivivere in noi, possano essere ricordate tramite noi. Significa fare memoria attiva.
Le pietre d’inciampo intendono, infatti, ridare individualità a chi, nei campi di concentramento e di sterminio, fu ridotto a numero. Inciampare visivamente e mentalmente in una di queste piccole opere significa proprio cogliere l’occasione per fermarsi a riflettere sul passato.
Ed è questo il senso dell’iniziativa di domenica 2 aprile quando, alle ore 10.30, un folto numero di persone si è raccolto sotto i Portici del Grano per partecipare al secondo percorso di memoria diffusa tra le pietre d’inciampo del centro storico. Una mattinata di condivisione, organizzata dalla sezione “Laura e Lina Polizzi” dell’Anpi di Parma e dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea, che ha visto come voci narranti Marco Minardi e Irene Rizzi dell’Isrec e, come narratore musicale, Rocco Rosignoli dell’Anpi.
Dalla storia di Giorgio Nullo Foà, attraverso le vite di Dorice Muggia, Luigi Lusardi e Gino Amadasi, Arnaldo Canali, Sergio Larini, Aristide Zanacca, la passeggiata della memoria ha proseguito il suo percorso fino in via Torelli, dove il gruppo ha ascoltato con grande emozione gli eventi che hanno colpito la famiglia Della Pergola, per concludersi davanti allo Stadio Tardini, dove è stata posta la pietra d’inciampo che ricorda Renzo Cavallina. Intrecciare i linguaggi della memoria, come la narrazione storica e la musica, ha aperto a tutti noi partecipanti la possibilità non solo di conoscere le soggettività che stavamo incontrando ma anche di immergerci nella vita dei borghi di Parma durante il Novecento. Per molti camminare di nuovo e senza fretta tra le strade del centro ha significato ritessere anche i fili dei propri ricordi familiari, profondamente legati alla storia locale del Novecento.
Nonostante la pioggia e grazie alla bravura di Irene, Marco e Rocco che ci hanno accompagnato con entusiasmo e passione, la mattinata si è dimostrata, dunque, un momento culturale importante che ci ripromettiamo di ripetere in autunno per dare voce ad altri luoghi, ad altre opere della nostra storia locale.
Venerdì 21 aprile alle ore 21 la sede ANPI di Parma (Piazzale Barbieri, 1) aprirà le porte alla cittadinanza per un incontro con un ospite d’eccezione: il professor Angelo d’Orsi. Storico della filosofia e docente universitario di chiara fama, ma anche giornalista e attivista politico, d’Orsi è tra le altre cose uno dei maggiori conoscitori della figura e dell’opera di Antonio Gramsci, il cui pensiero partigiano e antifascista è tra i fari della nostra associazione. D’Orsi terrà una conferenza dal titolo “Nuovo ordine mondiale e vecchio disordine italiano. Un’analisi del tempo presente”. L’ingresso sarà a offerta libera fino a esaurimento posti. È consigliata la prenotazione, da effettuarsi esclusivamente via mail a anpicittapr@gmail.com.
L’iniziativa fa parte del ciclo “Ci vediamo all’ANPI”, iniziato lo scorso febbraio con una lezione del prof. Andrea Rapini. Un ciclo pensato dalla segreteria della sezione ANPI cittadina, al fine di fare luce su tanti argomenti che stanno a cuore alla nostra associazione con l’aiuto di alcuni tra i maggiori esperti esistenti.
Dopo la lezione del professor Angelo d’Orsi, l’appuntamento con “Ci vediamo all’ANPI” sarà per il 27 maggio con il professor Claudio Vercelli, tra i maggiori storici contemporanei, con una conferenza dal titolo “Neofascismo in grigio”.
“Laura e Lina, ben tornate a casa”. Cosi’ la nostra presidentessa ha salutato l’intitolazione della Sezione ANPI di Parma a Laura e Lina Polizzi, un’intitolazione che la segreteria in carica ha fortemente voluto. Per ricordare due figure fondamentali della Resistenza in città, e anche per dare un riconoscimento al ruolo delle donne nella Resistenza, che per molto tempo è stato subordinato a quello maschile. Oggi finalmente possiamo vedere riconosciuto il contributo delle donne alla causa comune.
Aldo Montermini è il figlio di Laura e il nipote di Lina. È stato il presidente della sezione provinciale di ANPI Parma fino al gennaio del 2022. Era ufficialmente presente all’inaugurazione, e gli abbiamo chiesto di raccontare per noi l’evento.
Sabato 1 aprile 2023
Da sabato 1 aprile la sezione cittadina dell’ANPI di Parma è diventata la “Sezione Laura e Lina Polizzi – Partigiane”
Sabato pomeriggio all’ANPI c’era tanta gente. Saluti, abbracci, strette di mano. Tanta voglia di ritrovarsi. Tanta voglia di riconoscersi compagni. La sala piena. Gente in piedi.
Lorenzo Lavagetto e Stefano Cresci hanno portato i saluti del Comune di Parma e dell’ANPI provinciale.
Brunella e Ilaria hanno parlato di Laura e di Lina ragazze dell’Oltretorrente, antifasciste e partigiane.
Della loro scelta uguale a quella di tante altre ragazze come loro. Due sorelle, la stessa scelta che però le ha condotte lungo strade diverse. Lina fino a vivere l’incubo della deportazione a Ravensbruck insieme a mamma Ida. Laura a muoversi nelle nebbie della clandestinità. Solitudine e paura.
Paola ha letto con emozione le loro testimonianze. Emozione che è diventata il pesante silenzio con cui la sala ha ascoltato il racconto che fa Lina della sua deportazione.
Io non potevo fare altro che scavare nei miei ricordi di bambino. Degli anni passati in quella casa ricavata nel sottotetto del numero 6 di vicolo Santa Maria. La casa dove ancora si riunivano quelli di prima, ma stavolta non per fare volantini contro la guerra e i fascisti, ma per giocare a carte dove in palio c’era solo l’arlia.
Adesso la targa è lì, ben visibile sulla cancellata di piazzale Tomaso Barbieri 1.
Un altro pezzo di memoria, un’ulteriore pietra d’inciampo che si aggiunge ai tanti segni, alle tante storie di donne e di uomini e luoghi che ci ricordano, ci interrogano e ci ammoniscono sul bene prezioso che ci hanno consegnato: la democrazia, la Repubblica, la libertà.
Oggi qualcuno vorrebbe rivoltare quella storia. Non ci riusciranno perché Laura e Lina sono più forti e più vive.