UN RACCONTO DI VITA IN SEZIONE

Stamattina è passato dalla sede ANPI di Parma – Sezione Laura e Lina Polizzi, Gianluca Campana, figlio del Partigiano Stalin.
E’ entrato con un dono per noi, un sacchetto di clementine profumate, si è seduto e mi ha raccontato la storia del padre, membro dei SAP che operavano nella zona di S.Polo di Torrile.
Suo padre, appena diciannovenne, si salvò dai fascisti nascondendosi sotto il letame.

In seguito fu ferito due volte.
Ne parlò poco in tutta la sua lunga vita perché, diceva, “ cosa vuoi che sia, io ci sono saltato fuori. Andò molto peggio al mio amico Attilio Gombia, nome di battaglia Ascanio, per tanti anni prigioniero dei fascisti, poi torturato per mesi dalla terribile Banda Carità.”

Il Partigiano Stalin sa descrivere esattamente e lucidamente tutte le torture cui fu sottoposto il suo amico.
Gianluca è sempre più consapevole che la memoria di fatti cosi terribili e importanti non si deve perdere e, prima che sia troppo tardi, chiede al padre di andare sui luoghi in cui fu ferito, a pochi km da casa.
“Io vengo ma se viene anche Emanuele “. Emanuele è il nipote ed è commuovente la consapevolezza dell’anziano della necessità di lasciare la sua testimonianza al più giovane in famiglia. E allora vanno. Il padre racconta incalzato dalle domande del figlio Gianluca che intanto filma tutta la storia con la cinepresa in super 8.
“ Avevamo ricevuto l’incarico, come gruppo SAP, di recuperare dei soldati tedeschi prigionieri in una casa lì vicino e portarli al comando americano che da poco si era insediato a Colorno. Era il 26 aprile del ’45.
Al ritorno dovevamo abbandonare il camion rubato ai tedeschi. Prima di passare un ponticello che impediva la vista al di là, ho detto ai miei di aspettare e sono andato avanti a controllare.”

In una casa colonica lì vicino erano nascosti ben settantadue tedeschi in fuga (numero documentato in seguito a testimonianza )e uno di loro spara e un primo proiettile colpisce il Partigiano Stalin alla gola e al petto; cade riverso in un fossato e arriva il secondo proiettile. Per pochissimi centimetri viene risparmiata la colonna vertebrale.
“Credevo di morire, avevo un buco in gola e anche se schiacciavo con la mano usciva tanto sangue e avevo anche un buco nella schiena, dove era uscita la pallottola e le gambe…le gambe non le sentivo più” e in qel momento di dolore, paura e disperazione cerca di uccidersi ma non riesce a prendere il fucile a causa della debolezza del braccio ferito.

Si salva. Viene portato in ospedale dove, piano piano, guarisce.
Sono tante le storie come questa. Sono anche tanti i partigiani uccisi proprio dai tedeschi in fuga, dopo il 25 aprile.

Ma di questo racconto ciò che mi colpisce è l’emozione di Gianluca, sono i suoi occhi lucidi quando mi dice che quella bobina preziosa è stata poi digitalizzata ed è diventata un CD che pochissime persone hanno visto, un ricordo strettamente di famiglia che mai andrà perduto. Il Partigiano Stalin, in tarda età, aveva deciso di uscire dalla sua abituale riservatezza e di lasciare in eredità al nipote Emanuele i suoi ricordi più dolorosi, un’eredità che diventa di tutti gli altri ragazzi, diventa nostra, diventa mia mentre mi commuovo nell’ascoltare Gianluca seduti nella sede Anpi, nel luogo della memoria per eccellenza.

Gianluca dice “ E’ colpa della buccia delle clementine”, si asciuga gli occhi e sappiamo entrambi che non è così.

Sara Ferraglia