Per il ciclo di incontri “Ci vediamo all’ANPI”, sabato 27 maggio la sede ANPI sez. Lina e Laura Polizzi di Parma ha aperto le sue porte a un pubblico che, numeroso nonostante il primo weekend di bella stagione, è accorso ad ascoltare la conferenza del prof. Claudio Vercelli. Vercelli è uno storico di chiara fama, esperto di storia degli ebrei, della questione mediorientale, e della storia dell’Italia contemporanea. Tra le mille cose che Vercelli fa, c’è anche scrivere per Patria Indipendente, organo di informazione di ANPI.
La conferenza di sabato 27 maggio, intitolata “Neofascismo in grigio”, voleva inquadrare le tendenze della realtà neofascista nella contemporaneità, mettendone in risalto le caratteristiche che la distinguono dal fascismo storico e le analogie che a esso lo riconducono.
Perché questo neofascismo è “in grigio”? Se il colore del movimento fascista è sempre stato il nero, negli anni più recenti, per poter sopravvivere, ha dovuto subire alcune trasformazioni significative, soprattutto per adattarsi al nuovo ruolo di contropotere, diverso da quello storico di potere autoritario, sorto per puntellare e sostenere poteri già costituiti. Si parla naturalmente della casa reale, ma anche della Chiesa, che rinunciò alla rappresentanza politica che aveva avuto nello Stato Liberale in cambio del concordato. Ma non solo: il potere degli industriali e dei proprietari terrieri era quello che aveva sostenuto la crescita del fascismo, che nei suoi primi anni aveva di fatto svolto il compito di stroncare gli scioperi con l’uso della violenza sotto il comando dei Ras. Sarebbe però un errore considerare il fascismo un mero prodotto di circostanze storiche: il fenomeno ha una sua autonomia e dei connotati particolari che lo rendono un oggetto a sé.
La storia del neofascismo invece è differente: non è più un esercizio di potere, bensì, all’opposto, di contropotere. Dal decadimento di Salò il fascismo storico arriva alla caduta del ’45, che è una sconfitta su tutti i fronti: civile, politico, e solo in ultima istanza anche militare. Il neofascismo di oggi è in grigio proprio perché sospeso tra diverse tendenze. Da un lato c’è la riorganizzazione: il suo rappresentante primario è stato certamente l’MSI, che dell’eredità di Salò va fin da subito sfumando alcuni aspetti, imparando presto ad assorbire anche i benefici delle trasformazioni sociali in atto negli anni del dopoguerra. La sua attuale incarnazione, Fratelli d’Italia, è un’evoluzione diretta di quella stessa realtà, di cui eredita la cultura politica neofascista.
Le altre organizzazioni oggi esistenti non vivono un momento felice: se Casapound è stata in grado, negli ultimi decenni, di rappresentare il “salto di qualità” per la cultura neofascista, oggi ha subito una battuta d’arresto da cui per il momento non sembra in grado di risollevarsi. Forza Nuova, realtà eversiva di indubbia importanza storica, oggi appare in completo disarmo: dopo l’assalto alla sede della CGIL avvenuto nell’ottobre del 2021 durante la manifestazione no green pass, l’organizzazione ha visto arrestati alcuni dei suoi vertici, restando di fatto decapitata. Di minore importanza appare la Lega dei Patrioti, che però ci mette davanti a una prassi comune della destra estrema: l’appropriazione di parole d’ordine di altre culture politiche. “Patrioti” è infatti l’attributo che rivendicarono per sé molti partigiani.
Oggi è soprattutto la parte istituzionalizzata della destra estrema che ha saputo rigenerarsi e adattarsi, cambiando vesti ma mantenendo il suo carattere di fondo, fino ad arrivare al governo.
Cosa caratterizza la cultura delle destre radicali e post-costituzionali? Claudio Vercelli ci ha aiutato a individuarne alcuni aspetti imprescindibili.
In primis, il pensiero antidemocratico. La democrazia è, a loro modo di vedere, una forma fallace di governo nell’interesse collettivo. Il loro obiettivo è cercare di piegare l’istituzione democratica in senso post-costituzionale. In Italia è un processo non ancora compiuto, ma se guardiamo al quadro europeo possiamo vedere che in Ungheria e in Polonia è già successo.
Un altro tratto comune alle forze neofasciste è l’antipluralismo: in un quadro di cultura pluralista ogni individuo è riconosciuto nella sua identità, e non può essere represso. La destra radicale invece guarda al pluralismo con avversione: troppi diversi sono pericolosi, e devono essere uniformati. L’uniformità è un concetto ben differente da quello di uguaglianza: l’uguaglianza sancisce pari diritti pur nella diversità, l’uniformità chiede di aderire a un canone e a un modello univoci. È un concetto che acquista forza soprattutto in fasi di crisi, e oggi come cent’anni fa stiamo assistendo a una crisi dei ceti medi, che temono una retrocessione economica ma anche di status sociale. La risposta che offre la visione dell’estrema destra è: c’è qualcuno diverso da te che sta portando via qualcosa che ti appartiene. Da qui deriva anche la visione della cittadinanza come valore non giuridico, ma etnico e identitario.
L’antisocialismo è un altro tratto culturale che contraddistingue le formazioni dell’estrema destra. Nonostante il declino del comunismo, il tracciato antisocialista resiste ancora oggi. Il motivo si può individuare nell’avversione per l’autorganizzazione, che sfugge al controllo dell’autorità costituendo uno spazio di autonomia in conflitto con l’ordine sociale ricercato.
E infine, l’antiliberalismo: i diritti dell’individuo devono sottostare, soccombere agli interessi di una comunità organica.
È chiaro che da tutti questi tratti non può che derivare un rifiuto netto dell’impianto costituzionale della Repubblica: uno slogan molto noto del Fronte della Gioventù recitava: “Il 25 aprile / è nata una puttana / e l’hanno chiamata / Repubblica Italiana.”
L’ideologia neofascista è caratterizzata dalla violenza: è una violenza in cui il gruppo deve avere la meglio, e in cui l’individuo può e deve sacrificarsi. Oggi il richiamo alla violenza è sopito in molte fra le realtà citate, ma nei cerchi concentrici della galassia nera è ancora un elemento agglutinante. Un esempio sono i gruppi di ultras calcistici, serbatoio di reclutamento per le organizzazioni neofasciste, ma anche i centri sociali di destra, in cui gli skinheads possono essere identificati dal loro abbigliamento come fosse una vera e propria divisa.
Chi è al governo oggi è tutto questo, o è anche altro? Si tratta di una classe dirigente cresciuta all’interno del vecchio MSI, con Almirante come modello, la cui filosofia politica era pragmatica: “non rinneghiamo nulla ma non possiamo restaurare”. Anche Fratelli d’Italia è contro i diritti civili, un atteggiamento che oggi porta più antipatie che simpatie, ma che garantisce un collante contro il presunto disordine morale imperante. Un’altra battaglia è quella per reintrodurre la pena di morte, complementare a quella per il diritto alla difesa: si tratta di orizzonti anticostituzionali, verso i quali i fascismi iniziano a premere quando qualcosa rende un sistema politico fragile di suo. Oggi questa fragilità è ravvisabile nello sbandamento del ceto medio.
La destra post-costituzionale è stata inoltre capace di interagire con il grande pubblico sfruttando il mezzo del web, creando delle vere e proprie redazioni di professionisiti che fabbricano fake news, cavalcando l’intuizione che, nel mondo virtuale, non esiste più un’unica verità plausibile, ma molte realtà intercambiabili. Il lato oscuro della par condicio, se vogliamo, che ha dato al neofascismo l’occasione di captare anche elementi della galassia antivaccinista, apparentemente distante da considerazioni politiche, ma in realtà sintomo di un fermento sociale che presenta meccanismi analoghi al fenomeno negazionista: un metodo di ragionamento che mette in evidenza legami tra fenomeni non connessi tra loro, che permette di spostare l’asse di discussione su di un altro terreno, favorevole a instillare la cultura del sospetto.
D’altro canto, abbiamo già visto come per la destra estrema la legge sia un limite: se il diritto è tutela della collettività, l’avversione a esso è comune sia alla destra populista che ai fronti antivaccinisti.
L’adesione neofascista a queste battaglie è spesso un’adesione a polemiche fittizie, volte solo a mostrare le norme come una limitazione delle libertà individuali. La retorica neofascista fa da sempre leva sull’individualismo, sul sospetto, sulla paura, sulla ricerca di protezione. Il paradosso è che, accanto alle rivendicazioni della libertà individuale contro l’obbligo di legge, la retorica neofascista vive di appelli affinché l’individuo rinunci ai propri diritti per proteggersi. In una società, come quella odierna, ben più debole di quella di 50-60 anni fa, la propaganda neofascista offre proprio risposte a un bisogno di protezione.
Claudio Vercelli si è prestato al dialogo con i presenti, che hanno avuto l’occasione di rivolgergli domande, richieste di chiarimenti, di condividere con il professore e con la plate le proprie considerazioni riguardo a quanto appena detto. Un altro incontro di alto profilo, che la segreteria cittadina è fiera di aver potuto offrire ai suoi iscritti.