di Antonella Mezzadri

Il primo febbraio partirà da Malaga la 7° marcia integrale de “La Desbandá” che in 10 tappe ci porterà fino ad Almería. La marcia vuole ricordare la più grande strage di civili della guerra spagnola, quando gli abitanti di Málaga, fuggiti in massa il 7 febbraio del 1937, per scappare dalla brutalità e dalla violenza delle truppe fasciste furono ripetutamente bombardati da aerei tedeschi ed italiani, e cannoneggiati via mare dagli incrociatori spagnoli Baleari, Canarie e Cervera. I morti, nella stragrande maggioranza donne e bambini, furono migliaia. Scopo della marcia non è solo ricordare, ma chiedere verità, giustizia e riparazione. Quest’anno il tema conduttore sarà “La desbandà ha nome di donne”, in particolare sarà dedicata a Matilde Landa e Tina Modotti che sotto le bombe lavorarono instancabilmente per portare soccorso alla popolazione. Tina Modotti è conosciuta anche in Italia, mentre sono pochissimi quelli che conoscono la figura di Matilde Landa. Questa è la sua storia.

CARCERE DI VENTAS

La prima cosa che mi viene in mente pensando a Matilde Landa è il ticchettio di una macchina da scrivere: ticchete… ticchete… tacchete… questo e il rumore che esce ininterrottamente dalla sua cella. Madrid, 1939: siamo nel braccio della morte del carcere femminile di Ventas. Qui circa 190 donne aspettano il giorno dell’esecuzione. Anche Matilde è in attesa: “adhesión a la rebelión” recita il verdetto del consiglio di guerra che l’ha condannata alla pena capitale. Matilde, però, questa attesa deve riempirla con qualcosa di utile e, incredibilmente, ci riesce: trasforma la sua cella in un ufficio di assistenza legale per le altre detenute; è l’unica possibilità di salvezza per queste donne, molte delle quali analfabete, che a causa delle difficoltà burocratiche e la mancanza di conoscenze legali non sanno nemmeno che si possono appellare. Sono poche quelle che riesce a salvare, ma il suo ufficio diventerà un punto di appoggio psicologico, un luogo dove si intessono piccoli fili di una rete di aiuto tra le donne, una piccola luce nelle tenebre del carcere. Ecco, per me bastano queste righe per delineare la forza, il coraggio, la tenacia e l’umanità immensa di questa giovane donna. Ma chi è Matilde Landa?

MATILDE LANDA

Matilde nasce nel 1904 a Badajoz da una famiglia ricca e influente, ma soprattutto in casa sua si coltiva la libertà di pensiero, si dà spazio alla cultura, alla scienza e alle idee più innovative dell’epoca. Una famiglia “strana” per quei tempi: addirittura il padre e la madre erano sposati solo civilmente e Matilde non viene nemmeno battezzata!
A 19 anni lascia Badajoz per trasferirsi a Madrid, dove studia scienze naturali all’ università: anche questa una cosa molto “strana” per la Spagna di quei tempi dove le scienze erano considerate per niente adatte alle donne.
Matilde inizia la militanza politica durante la seconda repubblica: partecipa a congressi, lavora con il soccorso rosso internazionale, diventa amica di Vittorio Vidali e della sua compagna Tina Modotti e si iscrive al partito comunista spagnolo all’inizio del 1936.
Dopo pochi mesi scoppia la guerra civile e si arruola nel battaglione femminile del Quinto Regimiento. È naturale: nella sua famiglia le hanno insegnato che donne e uomini hanno gli stessi diritti e doveri. Qui riceve un’istruzione militare: impara a lanciare granate, a maneggiare fucili e pistole, ma non arriverà mai a sparare un colpo: le sue idee sono troppo avanti anche per i suoi stessi compagni di partito che non vedono di buon occhio la presenza femminile in un corpo
militarizzato. Così le due uniche compagnie femminili che si erano formate si sciolgono ancor prima di essere entrate in azione. A Matilde vengono allora assegnati incarichi pensati appositamente per le donne di quell’epoca: la cura dei feriti negli ospedali, l’assistenza ai profughi e rifugiati, soprattutto ai bambini. Si occupa della loro evacuazione dalle zone di guerra, di alloggio, assistenza medica, addirittura dei momenti ricreativi e dei campi estivi. Ai bambini Matilde dedicherà tutte le sue forze ed energie, saranno sempre al centro dei suoi pensieri; sicuramente quando pensa ai bambini pensa anche a sua figlia Carmen. Già, perché la piccola Carmencita non è più con lei: la Spagna in piena guerra civile non è posto per una bambina di 5 anni, soprattutto se si ha una madre così impegnata, e così è stata mandata in Russia. Matilde non la rivedrà più ma le scriverà lettere di una bellezza struggente.
Anche durante La Desbandá di Málaga, dove Matilde accorre insieme all’amica Tina Modotti per portare soccorsi, il suo ruolo sarà importantissimo. È grazie al suo lavoro come responsabile del Soccorso rosso internazionale che molti profughi riceveranno aiuti e che molti bambini persi durante la fuga, ritroveranno le loro famiglie. Nel gennaio del ’39, quando ormai la guerra è perduta, la troviamo a Barcellona. Ragazza coraggiosa, Matilde: mentre tutti cercano di fuggire e di mettersi in salvo, lei torna a Madrid, con un nuovo compito: organizzare e guidare il partito comunista spagnolo davanti all’ imminente l’entrata in città delle truppe franchiste. Che è come infilarsi nella bocca del leone.
Si dura poco nella Madrid di fine guerra: Matilde viene arrestata in aprile.
Sei mesi di totale isolamento, senza poter comunicare con nessuno e senza mai vedere la luce del sole; e poi la condanna a morte. Pare le avessero offerto la libertà, a patto che rinnegasse pubblicamente il Partito Comunista Spagnolo. Matilde si rifiuta di farlo. Intanto un amico di famiglia vicino ai franchisti, il filosofo e sacerdote Manuel García Morente, riesce nella difficile impresa di salvarle la vita: la sua condanna è commutata in 30 anni di carcere da scontarsi in una prigione fuori dalla penisola.

PALMA DE MALLORCA

Nell’agosto del 1940 arriva nel carcere femminile di Palma de Mallorca: sovraffollamento, fame, mancanza totale di igiene e vessazioni continue fanno di questo carcere gestito da “las Hermanas de Santa Cruz” uno dei più terribili di tutta la Spagna.
Anche qui, come a Ventas, Matilde diventa un punto di riferimento importante per le carcerate, organizzando minime azioni di resistenza e ottenendo piccoli miglioramenti delle condizioni di vita all’interno del carcere. Naturalmente, anche qui, le autorità religiose della prigione si accaniscono contro di lei ed è oggetto di numerose sanzioni, non solo a causa della sua attività organizzativa, ma per la sua singolarità: Matilde è una donna colta, intelligente, con un grande ascendente sulle altre carcerate e in poco tempo è diventata un simbolo di dignità e di resistenza. E poi c’è un’altra
cosa che le autorità religiose del carcere non sopportano: Matilde non è battezzata!
Cominciano allora le pressioni delle suore perché si converta al cattolicesimo: sarebbe stato un atto di propaganda di prim’ordine per la dittatura: Matilde Landa, la “rossa”, la comunista si battezza! Ai franchisti non era bastato vincere, fucilare, incarcerare: bisognava umiliare e convertire gli sconfitti.
Le pressioni subite da parte delle militanti dell’azione cattolica furono terribilmente crudeli, ma Matilde non cede. Le tolgono il permesso di leggere e scrivere, la rinchiudono per 4 mesi in isolamento in una cella senza luce, la minacciano di trasferirla alle isole Canarie.
Ma Matilde dice no.
Matilde non molla.
Alle religiose resta un’ultima carta da giocare: il ricatto. Le piccole conquiste di miglioramento di vita all’interno del carcere si convertono in merce di scambio per ottenere la cristianizzazione di Matilde: se non si converte toglieranno la razione di latte supplementare ai figli delle detenute.
Questa volta non può rifiutare: Matilde dice sì

LA MORTE

Il suo battesimo pubblico è previsto per il 26 settembre alla presenza del Governatore e del vescovo di Palma.
Matilde gli rovina la festa: si suicida gettandosi dal tetto della prigione.
La sua agonia durò 45 minuti giusto il tempo perché le autorità religiose riuscissero a somministrarle il battesimo in “articulo mortis”.
Prima di morire scrisse un’ultima lettera a sua figlia Carmen:
“Carmen, Carmen ho bisogno di ripetere tante volte il tuo nome……
Mi hanno lasciato avvicinare all’infermeria perché il vescovo e il governatore non sono ancora arrivati. Oggi è arrivato il gran giorno, dicono. Donna Barbara*, le altre signore dell’azione cattolica e le monache si staranno leccando i baffi per il trionfo. Il dolore che ho nel petto non mi lascia pensare, piccola Carmen, però non credo che l’olio di canfora possa alleviare la mia sofferenza, perché è un altro dolore, più profondo quello che mi angoscia […]. Non posso vedere senza piangere i visi di questi bambini che minacciano di lasciare senza latte se io non mi converto. Tu lo sai, piccola Carmen quanto mi preoccupino i bambini, i più sfortunati, con i loro piccoli cuori così sensibili e così in balia dei capricci degli adulti. Non posso, non posso accettarlo. Sarebbe come prostituirsi…
Si sta facendo tardi, Carmencita, sento rumori di motori e di cancelli che si aprono.
Spero che tu continui a volermi bene e che tu ti ricordi di me, nonostante quello che ti racconteranno, nonostante quello che sto per fare. Che tu, mia piccolina, e che questi poveri bambini mi perdoniate.
Molti baci e molti abbracci da tua madre.”

*Barbara Pons era la catechista che le avevano assegnato affinché si convertisse.

Lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano ricorda la sua morte con queste parole:

Carcere di Palma di Maiorca, autunno del 1942: la pecorella smarrita.

È tutto pronto. In formazione militare, le prigioniere attendono. Arrivano il vescovo e il governatore civile. Oggi Matilde Landa, rossa e a capo dei rossi, atea convinta e dichiarata, si convertirà alla fede cattolica e riceverà il santo sacramento del battesimo. La pentita entrerà a far parte del gregge del Signore e Satana perderà una delle sue.
Si fa tardi.
Matilde non compare.
È sul terrazzo, nessuno la vede.
Da lassù si butta giù.
Il corpo esplode, come una bomba, nel cortile della prigione.
Nessuno si muove.
La cerimonia prevista si compie.
Il vescovo fa il segno della Croce, legge una pagina dei vangeli, esorta Matilde a rinunciare al Male, recita
il Credo e tocca la sua fronte con l’acqua consacrata.