Di Giovanna Bertani

Il ciclo degli incontri “Ci vediamo all’Anpi”, progetto della sez. cittadina Lina e Laura Polizzi, nato dall’urgente necessità di incontrarci e di dialogare sui temi che ci stanno a cuore in questo nostro difficile presente, confrontandoci con chi, per sapienza e studi, potesse accompagnarci nelle nostre riflessioni, si è chiuso sabato 18 novembre con la conferenza del prof. Alberto Cavaglion. La presentazione dell’ultimo suo libro “Decontaminare la memoria” ha offerto l’opportunità di ripensare al senso delle attività e dello impegno all’interno della nostra Associazione, il cui compito è far sì che l’eredità di valori dei nostri partigiani sia un efficace grimaldello per scardinare l’opacità morale della nostra realtà. La conversazione, per quanto dotta, ha assunto subito un aspetto amicale che ha visto come principale interlocutrice Paola Varesi, senza escludere i presenti, se non numerosissimi, tuttavia molto coinvolti, partecipi e interessati agli argomenti messi a tema. La Memoria è stata monumentalizzata, destrutturarla forse potrebbe essere uno stimolo per capire il presente; le celebrazioni non sono sufficienti a rinsaldare certi principi e a orientare nella complessità attuale. Che fare dunque? È il professor Cavaglion a farci da guida: si è aperta una crepa, egli osserva, nella strada che porta alla Memoria, da una parte i giovani e i meno giovani, quelli che chiameremmo la gente, e dall’altra le Istituzioni, che ripetono riti sempre più stanchi e stantii. La storica Valentina Pisanty ad esempio ha osservato che negli ultimi vent’anni la Shoah è stata oggetto di intense e capillari attività commemorative, ma nel contempo il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura. C’è un collegamento fra i due fatti? Com’è che si verifica questa contraddizione? A lei pare che questo sia il risultato del fallimento delle politiche della memoria. A questa amara constatazione si può rispondere in modo efficace solo con l’autocritica, si possono individuare delle responsabilità , ma non è sopportabile il vile oltraggio alla Memoria degli ultimi anni e allora che fare per rivitalizzarla? Secondo Cavaglion occorre la meraviglia, che sorprende e avvicina i giovani a qualcosa che non si aspettano e, lavorando di bricolage, portarli al cuore del problema. Questo si può ottenere mostrando il rapporto fra memoria e paesaggio, la funzione estetica, la bellezza dei luoghi e dei ricordi che essi rappresentano hanno un grande valore nel processo educativo. Il dissesto causato dalla Storia sui luoghi, quelle ferite, inferte al paesaggio dall’odio, dalla guerra, dalle torture, dai bombardamenti, dalle rappresaglie oscurano il manto del lavoro di millenni , come dice Gilles Clement. Generazioni si sono succedute nella fatica paziente di addomesticare la natura e di renderla giardino, ma, se vasto è il deposito delle sofferenze patite dai luoghi, un altrettanto immenso patrimonio di scritture, disegni, affreschi descrivono quei luoghi e li redimono. Le ferite gettano un’ombra inquietante, ma alla fine convivono con l’antico topos dell’Italia come grande giardino. Forme di rappresentazioni che abbiano come sfondo la Natura violata dalla brutalità umana ispirano la migliore letteratura, la poesia e la narrativa, colorano le pareti di palazzi e cappelle rinascimentali, le gallerie e le collezioni d’arte. Riallacciamo dunque il presente al passato con animo costruttivo, non portiamo i ragazzi forzatamente sui luoghi della memoria, fermiamoci sulla soglia e, attraverso la letteratura, la poesia e l’arte, introduciamoli in essi e induciamoli a riflettere, entreranno così con passo fermo e consapevole. Presto non ci saranno più i testimoni, ma “l’armonia vince di mille secoli il silenzio”, la letteratura è eternatrice. Occorre avere un rapporto dialettico con i luoghi dell’afflizione, la storia non è solo il numero dei morti , bisogna trovare in essa uno sbocco positivo e a questo proposito Cavaglion legge un passo del romanzo di Romain Gary, in cui un personaggio reduce di guerra costruisce aquiloni e il protagonista va a trovare spesso con l’immaginazione il suo professore, deportato senza ritorno, e ne parla al presente come se fosse lì; ricorda anche la “Casa del ridere” di Formiggini, insomma la sua è una sollecitazione a fare ricorso all’immaginazione senza lasciarsi schiacciare da un dovere di ricordare imposto dalla memoria pubblica e continua dicendo di non amare le pietre d’inciampo, in primis perché sono un’opera di un artista che va pagato e poi perché gli sembra un atto di umiliazione il guardare in basso, ricordando il racconto di Primo Levi “Segni sulla pietra”. Inoltre egli sottolinea come negli ultimi tempi ci sia stato un susseguirsi di giornate della memoria, degli eventi o non si parla o si strombazza con l’andamento del pendolo, il silenzio o l’urlo. Incombe tuttavia su tutta la sala, incluso il professore, il pensiero di quello che sta accadendo in Palestina e sembra naturale esprimere dubbi e domande proprio a lui, a cui sembra l’unica soluzione smettere di pensare al passato e di ripartire dal 1947/48, incrementando il ruolo dell’ONU. Certo lo scenario generale non invita all’ottimismo, ma egli vuole vedere un barlume di speranza nell’incontro a San Francisco fra XiJinping e Biden . Si continuano ad esprimere dubbi ed interrogativi e il prof. Cavaglion non si sottrae e li condivide con generosità tanto da trasformare la presentazione del libro, che merita veramente di essere letto, in una conversazione fra amici. La prima impressione è stata confermata dai fatti.